| RE: parere alla mobilità esterna Per completezza del dibattito riporto l'articolo del prof. Bianchi della Bocconi sulla questione della mobilità.Roberto Onorati
 
 Via libera! Il passaggio diretto di personale alla luce della Riforma
 Brunetta: non occorre più alcuna autorizzazione. Legislatore attento o
 distratto?
 di Amedeo Bianchi
 Se l’interpretazione della legge può essere definita come l’attività tendente a determinare il
 significato della norma giuridica al fine della sua applicazione, ogni qual volta questo processo
 riguardi un nuovo testo normativo, si finisce inevitabilmente per confrontarsi con il diritto vivente,
 ossia con quella parte di vita concreta, che si sviluppa, agisce e determina parallelamente all’atto
 di creazione della norma.
 Inevitabilmente, il caso concreto sfugge allo schema astratto e qui interviene la visione del singolo
 interprete cui spetterà di misurarsi, oltre che con quello schema, anche con opposte visioni,
 destinate a permanere diversificate fintanto che non intervenga un’interpretazione autentica del
 legislatore, posto che se è vero - come insegna Emilio Betti - che "Il senso (della norma) deve
 essere quello che nel dato si ritrova e da esso si ricava, non già un senso che da esso si trasferisca
 dal di fuori", raramente una soluzione interpretativa è destinata a rimanere in assoluto “la
 soluzione”.
 Ciò posto, e preannunciando una disponibilità al confronto che tenga conto di tale assunto, il caso
 con il quale ci misuriamo in questa sede è quello, non ancora affacciatosi con forza sulla scena del
 dibattito dottrinale e giurisprudenziale del nuovo articolo 30 del D. lgs.vo 30 marzo del 2001 n. 165
 così come consegnatoci dopo la Riforma Brunetta di cui al D. lgs.vo 27 ottobre 2009 n. 150 a
 mente del quale “Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione
 del contratto di lavoro di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre
 amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Le amministrazioni devono in ogni caso
 rendere pubbliche le disponibilità dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di
 personale da altre amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta. Il trasferimento è
 disposto previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è
 o sarà assegnato sulla base della professionalità in possesso del dipendente in relazione al posto
 ricoperto o da ricoprire”.
 L’aspetto maggiormente innovativo della disposizione è racchiuso nella previsione per cui tali
 passaggi diretti possono essere attuati “previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei
 servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato” e dunque senza alcuna necessità del nullaosta
 da parte dell’amministrazione da cui la risorsa proviene.
 Sul punto, però, comincia a delinearsi una visione che appare scettica, sostenendosi, al contrario di
 quanto la stessa norma afferma, che il nulla-osta dell’amministrazione di provenienza sia ancora
 necessario, pur se richiesto in forma diversa.
 A parere di chi scrive, tale interpretazione “conservativa” può essere superata facilmente, facendo
 riferimento a diversi canoni ermeneutici, non senza tener presente, per dirla con Herbert Hart, che
 "lo scettico sulle norme è talvolta un assolutista deluso".
 Invero, il primo canone ermeneutico da utilizzare è quello dettato dall’articolo 12 – 1° comma,
 delle disposizioni della legge in generale secondo cui: “Nell’applicare la legge non si può ad essa
 attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la
 connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”.
 Ebbene, il testo dell’art. 30 in commento dice: “Il trasferimento è disposto previo parere favorevole
 dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato”.
 Il senso, fatto palese dalla norma è, dunque, la necessità di acquisire il parere dei dirigenti
 responsabili dei servizi e degli uffici dove il personale ha richiesto di essere trasferito. E
 consideriamo presupposti consolidati, sia la privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico, sia il
 principio di separazione delle competenze.
 Infatti, nonostante la necessità del nulla-osta dell’amministrazione cedente potrebbe adombrarsi
 nella successiva espressione “cui il personale è …. assegnato”, il significato proprio di tale
 espressione va piuttosto ricercato nell’ipotesi di dipendente che sia già in servizio in posizione di
 comando o di fuori ruolo presso l’amministrazione che deve rilasciare il parere, altrimenti
 l’espressione sarebbe stata completata con “…e sarà assegnato”, e non con l’alternativa “o sarà
 assegnato”.
 Ciò per un ovvio duplice ordine di motivi. Il primo sta nel fatto che, se così non fosse, potrebbe,
 paradossalmente, bastare il parere favorevole solamente dell’amministrazione cedente senza che
 quella ospitante nemmeno esprimesse il proprio gradimento. Il secondo motivo, che ovviamente
 vede distratti i commentatori più scettici e conservatori, risiede nel disposto normativo che ha
 visto l’art. 30 del Decreto 165, integrarsi con l’art. 2 bis, aggiunto dall'articolo 5 – 1° comma quater
 della legge n. 43 del 2005. Infatti, tale norma vuole che le amministrazioni, prima di procedere
 all'espletamento di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico,
 attivino le procedure di mobilità, provvedendo, in via prioritaria, all'immissione in ruolo dei
 dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo,
 appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento nei ruoli delle
 amministrazioni in cui prestano servizio. Ecco perché il legislatore, confermando la combinazione
 tra le diverse disposizioni dello stesso previgente articolo, ha ritenuto di considerare anche il
 personale che .…è assegnato.
 La norma, a dire il vero, sembra avere il senso di una disciplina di carattere speciale, destinata a
 prevalere sullo schema ordinario della cessione – rispetto a cui, peraltro, il nulla-osta si pone come
 una inutile duplicazione – altrimenti la precisazione avrebbe il senso di un’affermazione
 pleonastica e priva di rilievo pratico.
 Del resto, l’art. 12 citato, in presenza di problemi interpretativi per insufficienza del dato letterale
 o equivocità, oltre che del significato grammaticale delle parole, invita l’interprete a tener conto
 dell’intenzione del legislatore, riferita non soltanto alla volontà di coloro che hanno formulato il
 testo, quanto alla norma immessa nel sistema di norme che disciplinano la stessa materia.
 A ulteriore conferma di quanto si sostiene, basti ricordare che la norma generale de quo, già prima
 di essere novellata dalla Riforma Brunetta, in ossequio ai principi privatistici che ormai dal 1993
 caratterizzano il rapporto di pubblico impiego, considerava il passaggio diretto (mobilità
 volontaria), come cessione di contratto, prevedendo, però, in maniera assolutamente chiara e
 inequivocabile che presupposto sarebbe stato il nulla-osta dell’amministrazione cedente.
 Presupposto giuridico che, certamente non per semplice casualità, è stato espunto dalla norma
 riformata.
 Ebbene, anche in tal senso, le intenzioni specifiche della Riforma Brunetta, sono quelle di attuare
 una maggiore flessibilità, soprattutto per quanto attiene alla disciplina della mobilità, che diventa
 uno strumento per superare la tradizionale rigidità applicativa dell’istituto nel settore pubblico.
 L’obiettivo del legislatore delegato è stato quello di rimuovere insormontabili ostacoli che da anni
 impedivano o limitavano il passaggio da un’amministrazione ad un’altra.
 Non a caso è stato da più parti rilevato che le norme in materia di mobilità, sia
 intercompartimentale che tra amministrazioni diverse, saranno salutate con favore dai dipendenti
 pubblici interessati a transitare ad altre amministrazioni1.
 Se, dunque, la linea tracciata per il futuro è quella di rendere le amministrazioni più aperte al
 cambiamento, anche sul fronte del reclutamento del personale, in vista di ottimizzare l’allocazione
 dello stesso, non è possibile pensare che per perseguire tale obiettivo sia stata scelta una strada
 più impervia della precedente.
 Traccia evidente di tale nuovo percorso è rinvenibile anche in altri ambiti di riforma riguardanti
 pur sempre il pubblico impiego.
 Ci si riferisce alla norma di cui all’art. 23 – 2° comma, dettata per i dirigenti, che, confermando le
 previsioni contrattuali collettive, in un’ottica volta ad assicurare la più ampia mobilità degli stessi,
 privilegiandone la libera scelta, fa rimando proprio al medesimo art. 30: se questa norma
 prevedesse solo per tale categoria di dipendenti il sistema esposto, il rinvio, avrebbe dovuto
 sancire una particolarità per questo diverso caso, adottando una tecnica normativa diversa dal
 rinvio formale.
 Invero, il favor verso la mobilità, pur se storicamente “indigesto” in ambito pubblico, non
 costituisce affatto una novità. In altri comparti è da tempo diritto pacificamente vivente e la sua
 disciplina differenziata nei diversi settori pubblici, ha determinato fino ad ora ingiustificate
 disparità e, di fatto, la pietrificazione del sistema di reclutamento in alcuni comparti, come quello
 locale.
 E’ dato ritenere, alla luce di ciò, che il legislatore abbia voluto iniziare un percorso di
 omogeneizzazione della disciplina della mobilità in ambito nazionale, facendo riferimento a
 normative sviluppatesi nel contesto della contrattazione collettiva, ma pur sempre riferite alla
 necessità di rendere operativo il diritto alla mobilità. Basti pensare alla normativa di cui al C.C.N.L.
 integrativo del personale del Comparto Sanità, concernente la mobilità volontaria tra aziende ed
 enti del comparto o verso altre amministrazioni di comparti diversi – che nel sostituire la disciplina
 già prevista dagli articoli dal 12 al 15 del D.P.R. 384/90 (C.C.N.L. Sanità), semplificando l’istituto
 previsto dall’art. 30 del D. lgs.vo 165/2001 - richiede obbligatoriamente la concessione del solo
 nulla-osta da parte dell’ente a cui si chiede la mobilità in entrata. Infatti, il dipendente che intenda
 trasferirsi non deve recedere dal rapporto di lavoro in corso con l’azienda di appartenenza, ma
 1 Cfr. A. CAPALBO, Riforma Brunetta, Tutte le novità nel pubblico impiego, Commento sistematico al Decreto
 legislativo 27 ottobre 2009, n.150, pp.170 e ss., Malignano (AP), 2010.
 deve semplicemente limitarsi a produrre una comunicazione di “preavviso” per poter effettuare
 alla sua scadenza il trasferimento.
 A questo punto pare assolutamente opportuno consentire alle amministrazioni che non lo
 avessero già fatto, di adeguare i propri ordinamenti interni in modo da evitare che il dettato
 normativo, pur se logico e ragionevole, possa creare problemi di destabilizzazione
 dell’organizzazione. Infatti pare logico che i Regolamenti interni e, comunque, i bandi di selezione
 e i contratti individuali di lavoro, prevedano, nel rispetto delle previsioni normative generali, un
 vincolo di permanenza di almeno cinque anni dalla data dell’assunzione. E, in analogia al contratto
 dei dirigenti, qualora non fosse previsto il vincolo di permanenza, sarebbe opportuno prevedere
 un minimo periodo di preavviso che potrebbe, anche per i dipendenti, essere di quattro mesi.
 Se dunque, sono questi, allo stato, i dati dai quali si può evincere la voluntas legis, attraverso la
 rappresentata interpretazione teleologica e sistematica, può legittimamente supporsi che, proprio,
 a questa più snella modalità di azione abbia inteso richiamarsi il legislatore nel formulare il nuovo
 art. 30 D. lgs.vo 30 marzo del 2001 n.165.
 Opinare diversamente significherebbe sovvertire lo spirito della legge, e, se è vero che “la Pubblica
 Amministrazione non ha alcun obbligo di conformarsi alla interpretazione dottrinale e
 giurisprudenziale, mentre ha invece l'obbligo - dovendo svolgere ogni sua attività con la rigorosa
 osservanza del principio di legalità - di applicare la legge dandone, in base ai prescritti canoni
 ermeneutici, una interpretazione conforme alla sua effettiva portata normativa” (Cassazione Civile
 Sent. n. 14086 del 01-10-2002), ritornare al passato, svalutando la portata innovativa delle
 Riforma, significherebbe svolgere questo prezioso compito adottando un “canone inverso”
 rispetto all’ordinamento vigente e al suo progresso, al solo fine di ostacolarne l’evoluzione.
 Avanti dritta!
 
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