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Versione completa: declaratorie profili professionali categorie D ex D3
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Gent.mo Dott. Bianco,
è emersa la necessità di definire meglio alcuni profili professionali di Cat. D da coprire con i prossimi reclutamenti.
L'occasione ci ha fatto riflettere sulla differenza, a volte sostanziale, della declaratoria dei profili fra le categoria D e ex D3 (esempio: tra istruttore direttivo Amministrativo contabile - cat D -e funzionario Amministrativo contabile - cat D3 ci sono a favore di quest'ultimo competenze aggiuntive, spesso legate al coordinamento di attività/servizi o di maggiore professionalità legata all'iscrizione ad un ordine professionale).
La domanda che ne deriva è se l'Ente debba rivedere la formulazione delle declatorie dei D - D3 unificando le competenze o differenziando solo per le professioni che richiedono abilitazioni post laurea (con accesso per entrambi a D1) oppure debba lasciare ad esaurimento i profili D/D3 coperti e riformulare in modo aperto (??) i profili di categoria D da coprire con nuove assunzioni.
La ringrazio e la saluto
La scelta appartiene alla sfera della autonomia dell'ente. Si possono tanto prevedere per il futuro solo posti di categoria D senza distinzione, tanto prevedere distinzioni specifiche alle quali correlare il possesso di specifici titoli di studio: ad esempio istruttore direttore amministrativo con laurea breve e funzionario amministrativo con laurea specialistica etc
Arturo Bianco
La ringrazio per la risposta che, come prevedevo, non ci tiene al riparo da possibili rivendicazioni future dal momento che a parità di inquadramento retributivo (cat. D) possono essere richiesti mansioni e requisiti di accesso diversi.


Esatto
A mio modesto avviso, dal momento che oggi qualsiasi profilo della categoria D deve prevedere accesso dalla posizione economica iniziale D/1 e dunque non c'è più distinzione giuridica tra i vari profili, il titolo di studio richiesto dev'essere sempre la laurea (laurea semplice, cosiddetta – impropriamente – laurea triennale o di primo livello; primo ciclo del processo di Bologna; DD.MM. 509/1999 e 270/2004; aka bachelor's degree); al riguardo invito a consultare le circolari del Dipartimento della funzione pubblica nn. 6350 del 2000 e 3 e 4 del 2005, nonché la nota dell'allora Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica prot. 4793/SG del 2000 e il parere dell'Ufficio per il personale delle publiche amministrazioni n. 42 del 2008 (prot. 27780).


Certamente va bene anche la laurea magistrale, in quanto titolo di «tenore» superiore, in virtù del principio, abbastanza attestato in giurisprudenza anche se non consolidato, secondo cui nello stesso àmbito disciplinare il titolo avente maggior forza (in questo caso parliamo di un grado accademico appartenente al secondo ciclo del processo di Bologna) assorbe quello più debole in quanto attestante competenze più avanzate in quel campo di studi, che presuppongono il possesso, a monte, di quelle di base. Questo principio consente di includere anche i titolari della laurea magistrale in Giurisprudenza (classe LMG/01), che è a ciclo unico di durata quinquennale subito dopo il titolo finale di scuola secondaria di secondo grado, e i titolari di lauree magistrali coerenti con i profili ricercati ma precedute da lauree inidonee (faccio tre esempi personalmente conosciuti: laureato in Infermieristica che ha successivamente conseguito master in Coordinamento infermieristico e ancora dopo laurea magistrale di classe LM-63, Scienze delle pubbliche amministrazioni; laureata in Lettere che ha conseguito laurea magistrale in Economia e diritto per l'impresa e la pubblica amministrazione, afferente alla classe LM-77, Scienze economico-aziendali; laureata in Lingue che ha conseguito laurea magistrale in Management e comunicazione d'impresa, che nelle altre università di solito afferisce alla classe LM-59 – Scienze della comunicazione pubblica e d'impresa e pubblicità – mentre nella sua, Modena e Reggio Emilia, è inquadrata nella medesima classe LM-77). La normativa consente infatti, in astratto, di accedere a un qualsiasi corso di laurea magistrale (di durata biennale) dopo aver conseguito qualsiasi laurea (all'esito di corso di durata triennale); poi sta alla singola università definire criteri eventualmente più restrittivi e/o eventuali obblighi formativi aggiuntivi (il sistema di compensazione dei crediti e dei debiti non esiste più e dunque di solito viene richiesto di integrare il proprio curriculum studiorum sostenendo alcuni esami singoli prima dell'immatricolazione al corso di laurea magistrale; alcune università invece prevedono altre modalità di recupero, come ad esempio un colloquio, anche solo motivazionale, dinnanzi a un'apposita commissione che deve rilasciare nulla osta, oppure un test selettivo o non selettivo di verifica dei saperi essenziali etc.. Su questo l'autonomia è totale e ci sono atenei che hanno le maglie talmente larghe da consentire a un laureato in Filosofia di iscriversi a un corso di laurea magistrale di area economica senza alcun obbligo aggiuntivo e altre che hanno le maglie talmente strette che se hai una laurea di base della classe di Scienze dell'economia e della gestione aziendale puoi immatricolarti senza debiti solo a corsi di laurea magistrale della classe di Scienze economico-aziendali e non a quella di Scienze dell'economia: l'iscrizione non può essere formalmente preclusa, ma magari il debito è talmente macroscopico che il gioco non vale la candela, in quanto risulterebbe più agevole prendersi prima la laurea che consente l'accesso diretto beneficiando di un'abbreviazione di corso per convalida degli esami già dati).

Naturalmente, coloro che posseggono sia laurea sia laurea magistrale entrambe idonee alla partecipazione (ad esempio laurea della classe L-16, Scienze dell'amministrazione e dell'organizzazione, o della classe L-36, Scienze politiche e dele relazioni internazionali, seguìta da laurea magistrale di una tra le classi LM-52, LM-62, LM-63, LM-90, rispettivamente Relazioni internazionali, Scienze della politica, Scienze delle pubbliche amministrazioni, Studi europei) potranno fare valere come titolo di accesso al concorso quello conseguito con la votazione più favorevole (faccio notare che il voto di laurea magistrale dipende unicamente dal biennio di laurea magistrale, dunque parte da una base calcolata sula base di un numero sparuto di esami rispetto al curriculum complessivo*). Certamente non è possibile fare una media tra i due in quanto in questo modo potrebbe risultare favorito chi ha un solo titolo.

Fanno eccezione, a mio avviso, i soli profili professionali che richiedano un'abilitazione professionale per la quale l'ordinamento professionale prevede la laurea magistrale. Ma è questo il caso solo dell'avvocato: dottori commercialisti nella pubblica amministrazione non esistono, mentre per quanto riguarda architetti e ingegneri ho già notato che alcune amministrazioni chiedono la laurea semplice con abilitazione alla professione di architetto iunior o ingegnere iunior e iscrizione alla sezione B dell'albo; poi, ovviamente, se uno è abilitato come architetto o ingegnere e iscritto alla sezione A va bene lo stesso.






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(*) L'attuale ordinamento prevede un numero massimo di 20 esami per i corsi di laurea, 12 esami per i corsi di laurea magistrale, 30 esami per i corsi di laurea magistrale a ciclo unico di durata quinquennale, 36 per i corsi di laurea magistrale a ciclo unico di durata esennale. Gli esami a scelta generalmente non vengono computati (alcuni atenei calcolano tutto il blocco dei crediti elettivi come fossero un unico esame, anche se lo studente li fraziona in più esami). Prima che venisse fissato questo limite, che prevede anche che un esame debba pesare almeno 6 crediti, c'erano anche corsi di laurea da oltre 12 esami all'anno.



Ribadisco che, oltre ai profili per i quali le norme di legge prevedono uno specifico requisito, l'ente può a mio avviso ben individuare dei profili professionali per i quali richiedere la laurea specialistica, magistrale o del vecchio ordinamento, nonchè la iscrizione ad un albo professionale e dopo il d.lgs. n. 75/2017 addirittura il dottorato di ricerca.
Arturo Bianco
Se l'iscrizione all'albo professionale richiede la laurea magistrale (non è sempre così) è pacifico che serva la laurea magistrale; per il resto non comprendo come la pretesa possa essere avanzata unilateralmente dall'amministrazione in deroga a quanto previsto dal CCNL (cfr. circolari DFP 6350/2000, 3/2005 e 4/2005, nota MURST prot. 4793/SG del 14/12/2000 e parere UPPA 42/2008). Tra l'altro anche la norma dell'obbligo di valutare il dottorato di ricerca come titolo aggiuntivo mal si concilia con i concorsi per soli esami, che continuano a essere banditi (l'ultimo grosso di una lunga serie è questo: http://www301.regione.toscana.it/bancada...Allegato-A). Bisognerebbe vedere cosa dice la giurisprudenza al riguardo, sempre che siano stati impugnati dagli interessati.
Tanto premesso, se dipendesse da me io eviterei di complicarmi la vita esponendomi a rischi molto elevati di ricorsi giurisdizionali (e lo dico contro i miei interessi, dati i titoli che posseggo).
Ribadisco la precedente risposta
Continuo a non essere convinto, sia alla luce delle circolari e dei pareri interpretativi di cui sopra (i quali evidenziano come il d.lgs. 165/2001, laddove voglia riferirsi alla laurea specialistica o magistrale, la cita espressamente, dunque quando parla semplicemente di laurea non può che riferirsi all'unico titolo così denominato nell'attuale ordinamento universitario) sia alla luce del fatto che i contratti parlino di lauree «brevi», concetto che si riferisce si riferisce al diploma universitario di cui alla legge 341/1990 e, dunque, a maggior ragione all'attuale laurea (impropriamente detta triennale o di primo livello).
Del resto ho notato da almeno quattro-cinque anni a questa parte una spiccata tendenza a bandire concorsi per soli esami, nei quali, in quanto tale, viene fissato il titolo minimo di accesso e poi che tu possegga dieci titoli superiori non ha nessuna importanza, come non viene valutato il voto. Secondo una differentre interpretazione, avrei potuto impugnare tutti questi bandi al Tar con lo scopo di far valere i miei titoli superiori. In effetti la cosa potrebbe convenirmi; quasi quasi ne parlo con l'avvocato di fiducia Wink
Ribadisco che a mio avviso spetta agli enti disciplinare i requisiti per l'accesso alla categoria D, potendo in tale ambito operare delle distinzioni tra i profili professionali ed avendo uno spettro che va dalla laurea breve al dottorato di ricerca e che può prevedere anche l'iscrizione ad albi professionali. Si tratta di una conseguenza che trovo anche io assai discutibile, ma è una conseguenza del superamento della distinzione tra D1 e D3
Arturo Bianco
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