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Versione completa: parere alla mobilità esterna
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Nel caso in cui un Responsabile di Servizio con incarico dirigenziale richieda il parere favorevole al trasferimento presso altro Ente tramite mobilità, chi deve rilasciare tale parere in un Ente privo della dirigenza?
Il segretario firma il nullaosta.
Nei fatti, ai sensi dell’articolo 97 del TUEL, sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività, salvo quando ai sensi e per gli effetti del comma 1 dell'articolo 108 del TUEL il sindaco e il presidente della provincia abbiano nominato il direttore generale. In quest’ultimo caso, lo firmerà il direttore generale
Di regola possiamo dire che tale attribuzione possa spettare al segretario. Si hanno dei dubbi sulla possibilità di attribuzione al direttore generale perchè, per una parte della giurisprudenza, questa figura non può avere compiti gestionali.
La soluzione deve essere data dal regolamento dell'ente.
Cordiali saluti
Arturo Bianco
Siete sicuri che occorra il parere (o nulla-osta) del comune di appartenenza del dipendente che ha chiesto la mobilità? Bisogna leggere attentamente l'ultimo periodo del comma 1 dell'art.30 del D.Lgs 165/2001 come modificato dal D.Lgs 159/2009 ("Il trasferimento è disposto previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato sulla base della professionalità in possesso del dipendente in relazione al posto ricoperto o da ricoprire).
Il parere è dell'ente di destinazione del dipendente.

E' vero che l'art. 30 comma 1 dispone testualmente quanto sopra riportato, tuttavia risulta difficile immaginare che un dipendente possa trasferirsi tramite mobilità senza il parere dell'Amministrazione di appartenenza che, latrimenti, si vedrebbe privata di un dipendente senza poter nulla disporre
Ho partecipato ad un convegno tenuto da uno dei redattori della norma in questione. Il parere è dovuto solo da parte dell'amministrazione a cui il dipendente è (poichè comandato) o sarà assegnato dopo la procedura di mobilità. Residua il parere dell'amministrazione di appartenenza solo nel caso in cui il contratto individuale di lavoro prevede un periodo minimo di permanenza nell'ente.
So che questo sconvolge le nostre prassi ma ho l'impressione che un dipendente, se non è vincolato ad un periodo minimo di permanenza, non possa essere trattenuto.
A parere di chi scrive il parere dell'ente di provenienza è necessario in quanto siamo in presenza di cessione volontaria del contratto e tale istituto richiede quindi che l'ente da cui si dipende acconsenta, altrimenti non è cessazione. Inoltre la disposizione richiede il parere sia del dirigente dell'ufficio da cui si proviene che quello dell'ufficio presso cui si va: il che a mio avviso taglia la testa al toro e ci fa concludere che il parere dell'ente di provenienza sia indispensabile. Nel caso di tetto minimo di permanenza in un ente, lo stesso non può di regola essere ridotto tramite un parere dirigenziale. Mi pare che la novità di maggiore rilievo del DLgs n. 150/2009 sia stato il superamento del nulla osta inteso come pronuncia da parte della giunta.
Cordiali saluti
Arturo Bianco
Per completezza del dibattito riporto l'articolo del prof. Bianchi della Bocconi sulla questione della mobilità.
Roberto Onorati

Via libera! Il passaggio diretto di personale alla luce della Riforma
Brunetta: non occorre più alcuna autorizzazione. Legislatore attento o
distratto?
di Amedeo Bianchi
Se l’interpretazione della legge può essere definita come l’attività tendente a determinare il
significato della norma giuridica al fine della sua applicazione, ogni qual volta questo processo
riguardi un nuovo testo normativo, si finisce inevitabilmente per confrontarsi con il diritto vivente,
ossia con quella parte di vita concreta, che si sviluppa, agisce e determina parallelamente all’atto
di creazione della norma.
Inevitabilmente, il caso concreto sfugge allo schema astratto e qui interviene la visione del singolo
interprete cui spetterà di misurarsi, oltre che con quello schema, anche con opposte visioni,
destinate a permanere diversificate fintanto che non intervenga un’interpretazione autentica del
legislatore, posto che se è vero - come insegna Emilio Betti - che "Il senso (della norma) deve
essere quello che nel dato si ritrova e da esso si ricava, non già un senso che da esso si trasferisca
dal di fuori", raramente una soluzione interpretativa è destinata a rimanere in assoluto “la
soluzione”.
Ciò posto, e preannunciando una disponibilità al confronto che tenga conto di tale assunto, il caso
con il quale ci misuriamo in questa sede è quello, non ancora affacciatosi con forza sulla scena del
dibattito dottrinale e giurisprudenziale del nuovo articolo 30 del D. lgs.vo 30 marzo del 2001 n. 165
così come consegnatoci dopo la Riforma Brunetta di cui al D. lgs.vo 27 ottobre 2009 n. 150 a
mente del quale “Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione
del contratto di lavoro di dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre
amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. Le amministrazioni devono in ogni caso
rendere pubbliche le disponibilità dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di
personale da altre amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta. Il trasferimento è
disposto previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è
o sarà assegnato sulla base della professionalità in possesso del dipendente in relazione al posto
ricoperto o da ricoprire”.
L’aspetto maggiormente innovativo della disposizione è racchiuso nella previsione per cui tali
passaggi diretti possono essere attuati “previo parere favorevole dei dirigenti responsabili dei
servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato” e dunque senza alcuna necessità del nullaosta
da parte dell’amministrazione da cui la risorsa proviene.
Sul punto, però, comincia a delinearsi una visione che appare scettica, sostenendosi, al contrario di
quanto la stessa norma afferma, che il nulla-osta dell’amministrazione di provenienza sia ancora
necessario, pur se richiesto in forma diversa.
A parere di chi scrive, tale interpretazione “conservativa” può essere superata facilmente, facendo
riferimento a diversi canoni ermeneutici, non senza tener presente, per dirla con Herbert Hart, che
"lo scettico sulle norme è talvolta un assolutista deluso".
Invero, il primo canone ermeneutico da utilizzare è quello dettato dall’articolo 12 – 1° comma,
delle disposizioni della legge in generale secondo cui: “Nell’applicare la legge non si può ad essa
attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la
connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”.
Ebbene, il testo dell’art. 30 in commento dice: “Il trasferimento è disposto previo parere favorevole
dei dirigenti responsabili dei servizi e degli uffici cui il personale è o sarà assegnato”.
Il senso, fatto palese dalla norma è, dunque, la necessità di acquisire il parere dei dirigenti
responsabili dei servizi e degli uffici dove il personale ha richiesto di essere trasferito. E
consideriamo presupposti consolidati, sia la privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico, sia il
principio di separazione delle competenze.
Infatti, nonostante la necessità del nulla-osta dell’amministrazione cedente potrebbe adombrarsi
nella successiva espressione “cui il personale è …. assegnato”, il significato proprio di tale
espressione va piuttosto ricercato nell’ipotesi di dipendente che sia già in servizio in posizione di
comando o di fuori ruolo presso l’amministrazione che deve rilasciare il parere, altrimenti
l’espressione sarebbe stata completata con “…e sarà assegnato”, e non con l’alternativa “o sarà
assegnato”.
Ciò per un ovvio duplice ordine di motivi. Il primo sta nel fatto che, se così non fosse, potrebbe,
paradossalmente, bastare il parere favorevole solamente dell’amministrazione cedente senza che
quella ospitante nemmeno esprimesse il proprio gradimento. Il secondo motivo, che ovviamente
vede distratti i commentatori più scettici e conservatori, risiede nel disposto normativo che ha
visto l’art. 30 del Decreto 165, integrarsi con l’art. 2 bis, aggiunto dall'articolo 5 – 1° comma quater
della legge n. 43 del 2005. Infatti, tale norma vuole che le amministrazioni, prima di procedere
all'espletamento di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico,
attivino le procedure di mobilità, provvedendo, in via prioritaria, all'immissione in ruolo dei
dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo,
appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento nei ruoli delle
amministrazioni in cui prestano servizio. Ecco perché il legislatore, confermando la combinazione
tra le diverse disposizioni dello stesso previgente articolo, ha ritenuto di considerare anche il
personale che .…è assegnato.
La norma, a dire il vero, sembra avere il senso di una disciplina di carattere speciale, destinata a
prevalere sullo schema ordinario della cessione – rispetto a cui, peraltro, il nulla-osta si pone come
una inutile duplicazione – altrimenti la precisazione avrebbe il senso di un’affermazione
pleonastica e priva di rilievo pratico.
Del resto, l’art. 12 citato, in presenza di problemi interpretativi per insufficienza del dato letterale
o equivocità, oltre che del significato grammaticale delle parole, invita l’interprete a tener conto
dell’intenzione del legislatore, riferita non soltanto alla volontà di coloro che hanno formulato il
testo, quanto alla norma immessa nel sistema di norme che disciplinano la stessa materia.
A ulteriore conferma di quanto si sostiene, basti ricordare che la norma generale de quo, già prima
di essere novellata dalla Riforma Brunetta, in ossequio ai principi privatistici che ormai dal 1993
caratterizzano il rapporto di pubblico impiego, considerava il passaggio diretto (mobilità
volontaria), come cessione di contratto, prevedendo, però, in maniera assolutamente chiara e
inequivocabile che presupposto sarebbe stato il nulla-osta dell’amministrazione cedente.
Presupposto giuridico che, certamente non per semplice casualità, è stato espunto dalla norma
riformata.
Ebbene, anche in tal senso, le intenzioni specifiche della Riforma Brunetta, sono quelle di attuare
una maggiore flessibilità, soprattutto per quanto attiene alla disciplina della mobilità, che diventa
uno strumento per superare la tradizionale rigidità applicativa dell’istituto nel settore pubblico.
L’obiettivo del legislatore delegato è stato quello di rimuovere insormontabili ostacoli che da anni
impedivano o limitavano il passaggio da un’amministrazione ad un’altra.
Non a caso è stato da più parti rilevato che le norme in materia di mobilità, sia
intercompartimentale che tra amministrazioni diverse, saranno salutate con favore dai dipendenti
pubblici interessati a transitare ad altre amministrazioni1.
Se, dunque, la linea tracciata per il futuro è quella di rendere le amministrazioni più aperte al
cambiamento, anche sul fronte del reclutamento del personale, in vista di ottimizzare l’allocazione
dello stesso, non è possibile pensare che per perseguire tale obiettivo sia stata scelta una strada
più impervia della precedente.
Traccia evidente di tale nuovo percorso è rinvenibile anche in altri ambiti di riforma riguardanti
pur sempre il pubblico impiego.
Ci si riferisce alla norma di cui all’art. 23 – 2° comma, dettata per i dirigenti, che, confermando le
previsioni contrattuali collettive, in un’ottica volta ad assicurare la più ampia mobilità degli stessi,
privilegiandone la libera scelta, fa rimando proprio al medesimo art. 30: se questa norma
prevedesse solo per tale categoria di dipendenti il sistema esposto, il rinvio, avrebbe dovuto
sancire una particolarità per questo diverso caso, adottando una tecnica normativa diversa dal
rinvio formale.
Invero, il favor verso la mobilità, pur se storicamente “indigesto” in ambito pubblico, non
costituisce affatto una novità. In altri comparti è da tempo diritto pacificamente vivente e la sua
disciplina differenziata nei diversi settori pubblici, ha determinato fino ad ora ingiustificate
disparità e, di fatto, la pietrificazione del sistema di reclutamento in alcuni comparti, come quello
locale.
E’ dato ritenere, alla luce di ciò, che il legislatore abbia voluto iniziare un percorso di
omogeneizzazione della disciplina della mobilità in ambito nazionale, facendo riferimento a
normative sviluppatesi nel contesto della contrattazione collettiva, ma pur sempre riferite alla
necessità di rendere operativo il diritto alla mobilità. Basti pensare alla normativa di cui al C.C.N.L.
integrativo del personale del Comparto Sanità, concernente la mobilità volontaria tra aziende ed
enti del comparto o verso altre amministrazioni di comparti diversi – che nel sostituire la disciplina
già prevista dagli articoli dal 12 al 15 del D.P.R. 384/90 (C.C.N.L. Sanità), semplificando l’istituto
previsto dall’art. 30 del D. lgs.vo 165/2001 - richiede obbligatoriamente la concessione del solo
nulla-osta da parte dell’ente a cui si chiede la mobilità in entrata. Infatti, il dipendente che intenda
trasferirsi non deve recedere dal rapporto di lavoro in corso con l’azienda di appartenenza, ma
1 Cfr. A. CAPALBO, Riforma Brunetta, Tutte le novità nel pubblico impiego, Commento sistematico al Decreto
legislativo 27 ottobre 2009, n.150, pp.170 e ss., Malignano (AP), 2010.
deve semplicemente limitarsi a produrre una comunicazione di “preavviso” per poter effettuare
alla sua scadenza il trasferimento.
A questo punto pare assolutamente opportuno consentire alle amministrazioni che non lo
avessero già fatto, di adeguare i propri ordinamenti interni in modo da evitare che il dettato
normativo, pur se logico e ragionevole, possa creare problemi di destabilizzazione
dell’organizzazione. Infatti pare logico che i Regolamenti interni e, comunque, i bandi di selezione
e i contratti individuali di lavoro, prevedano, nel rispetto delle previsioni normative generali, un
vincolo di permanenza di almeno cinque anni dalla data dell’assunzione. E, in analogia al contratto
dei dirigenti, qualora non fosse previsto il vincolo di permanenza, sarebbe opportuno prevedere
un minimo periodo di preavviso che potrebbe, anche per i dipendenti, essere di quattro mesi.
Se dunque, sono questi, allo stato, i dati dai quali si può evincere la voluntas legis, attraverso la
rappresentata interpretazione teleologica e sistematica, può legittimamente supporsi che, proprio,
a questa più snella modalità di azione abbia inteso richiamarsi il legislatore nel formulare il nuovo
art. 30 D. lgs.vo 30 marzo del 2001 n.165.
Opinare diversamente significherebbe sovvertire lo spirito della legge, e, se è vero che “la Pubblica
Amministrazione non ha alcun obbligo di conformarsi alla interpretazione dottrinale e
giurisprudenziale, mentre ha invece l'obbligo - dovendo svolgere ogni sua attività con la rigorosa
osservanza del principio di legalità - di applicare la legge dandone, in base ai prescritti canoni
ermeneutici, una interpretazione conforme alla sua effettiva portata normativa” (Cassazione Civile
Sent. n. 14086 del 01-10-2002), ritornare al passato, svalutando la portata innovativa delle
Riforma, significherebbe svolgere questo prezioso compito adottando un “canone inverso”
rispetto all’ordinamento vigente e al suo progresso, al solo fine di ostacolarne l’evoluzione.
Avanti dritta!
In linea di massima si potrebbe condivdidere questa interpretazione letterale dell'Art. 30.

Rimane aperta la questione secondo cui la mobilità è qualificata come cessione del contratto per la quale, in base alle disposizioni in materia del codice civile, è richiesta l'accettazione del cedente.
Il parere del prof. Bianchi è quanto mai autorevole, ma le indicazioni prevalenti vanno in altra direzione.
Ad avviso di chi scrive, il consenso dell'ente presso cui il dipendente presta servizio tramite parere del dirigente è necessario. Non dimentichiamo che il legislatore parla di cessione del contratto, il che richiede il consenso dell'ente che è titolare del rapporto stesso. Ad avviso di chi scrive il nuovo testo dell'articolo 30 del DLgs n. 165/2001 introdotto dal DLgs n. 150/2009 ha chiarito che non occorre il nulla osta della giunta (se mai fosse necessario anche prima) e che lo stesso è da ritenere sostituito dal parere del dirigente.
Peraltro le amministrazioni, salvo la previsione regolamentare di vietare la mobilità in uscita per un periodo di tempo dopo l'accesso, non avrebbero sulla base di questa tesi altri strumenti per trattenere il lavoratore: il che cozza con il divieto di considerare la mobilità in uscita diretta a PA che hanno vincoli alle assunzioni, cioè oggi quasi tutte, come una cessazione. Con un possibile gravissimo danno per la loro funzionalità, visti i vincoli dettati per le assunzioni a tempo indeterminato.
Infine, la previsione contrattuale che per i dirigenti degli enti locali ammette la possibilità di mobilità in uscita anche senza il consenso dell'ente, va espressamente in questa direzione.
Arturo Bianco
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