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Versione completa: mensa e buoni sostitutivi
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Salve a tutti.

Nel mio ente abbiamo un trattamento della pausa pranzo diverso a seconda della sede di lavoro:
1. se si lavora in una sede provvista di mensa, non si percepisce un buono pasto ma un rimborso del 66% di quanto speso presso la mensa in pausa pranzo entro il limite a carico dell'Amministrazione di 4 euro e qualcosa. Se non si usufruisce della mensa, non si ha diritto al rimborso. Se non si effettua la timbratura in uscita, rimanendo in pausa anche un solo minuto (ma viene comunque decurtata mezz'ora), il lavoro eccedente la sesta ora non viene retribuito. Dopo la pausa (o dopo 30 minuti dalla timbratura in uscita, pari al periodo non retribuito, se la pausa dura meno), bisogna rimanere in servizio almeno un'ora perché sia riconosciuto il lavoro pomeridiano. Se la mensa è chiusa per qualsiasi motivo e l'Amministrazione ne è a conoscenza, viene fornito un buono pasto. Se il dipendente non ritira il buono nella stessa giornata, lo perde. Quando si effettua servizio al di fuori della propria sede ordinaria di lavoro ma non in regime di missione, non si ha diritto al ticket ma si è tenuti a recarsi presso una sede provvista di mensa per usufruire del pasto, a meno che la trasferta non sia prevista sia al mattino sia al pomeriggio presso sede/i distante/i oltre 300 metri dalla mensa più vicina. Se raggiungendo la mensa la si trova chiusa (classico se si usano i mezzi pubblici), si perde la pausa, si rimane digiuni e non si ha diritto al ticket.
Per il personale a tempo indeterminato e non in posizione di comando, il rimborso funziona in questo modo: il dipendente non anticipa niente ma la quota del pasto a suo carico, pari al 33% di quanto pagato al gestore, viene addebitata sullo stipendio.
2. se si lavora in una sede situata entro 300 metri dalla mensa, bisogna raggiungere la mensa più vicina. Il viaggio tra una sede e l'altra non è computato come orario di lavoro, dunque si perde. Per tutto il resto valgono le regole di cui sopra.
3. se si lavora in una sede non dotata di mensa, si percepisce un buono pasto da 5 euro. Tale buono pasto è corrisposto in forma sciolta, e non in blocco, anche ai dipendenti delle sedi di cui ai punti precedenti nelle ipotesi eccezionali di chiusura programmata; i buoni non ritirati in giornata, tuttavia, si perdono.
In tutti i casi, se non si è effettuata una pausa di almeno mezz'ora e non si sono superate le 6 ore lavorative di cui almeno 30 minuti dopo la pausa, non si ha diritto al rimborso del pasto e pertanto l'eventuale contributo mensa viene addebitato per intero e il ticket viene recuperato mediante compensazione o, ove non possibile, addebito.
Da quanto sopra emergono tre profili di discriminazione a carico dei lavoratori a seconda della sede di servizio:
- i lavoratori di cui ai punti 1 e 2, oltre a non percepire circa 100 euro al mese di buoni pasto, subiscono una decurtazione stipendiale che può variare a seconda di quello che si mangia, per 23 giorni lavorativi, da un minimo di oltre 16 euro a un massimo di circa 40 euro. In altre parole, fatto x lo stipendio, i lavoratori di cui al punto 1 e al punto 2 percepiscono -40, mentre tutti gli altri +100, il che significa che la differenza a favore di questi ultimi è di +140.
- i lavoratori di cui al punto 2 e, in caso di trasferte, quelli di cui al punto 1 sono costretti a fare pause più lunghe rischiando peraltro di trovare la mensa chiusa;
- mentre i lavoratori di cui al punto 3 decidono liberamente come spendere i propri tickets, anche cumulandoli, i lavoratori di cui ai punti 1 e 2 nelle ipotesi di chiusura della mensa o ritirano il buono pasto in giornata o perdono il diritto al pasto.

Inoltre da un paio d'anni la Direzione generale, per mostrarsi forte contro i cosiddetti furbetti del cartellino, ha adottato unilateralmente (cioè senza concertazione con i sindacati, ai quali il provvedimento è stato solo notificato contemporaneamente all'entrata in vigore) un nuovo disciplinare orario, che si applica anche al personale con qualifica dirigenziale ad eccezione del direttore generale, che stabilisce che possiamo fare un massimo di due pause non retribuite per «ristoro psicofisico» al giorno, per un massimo di 15 minuti totali, che non valgono come orario di lavoro, rimanendo entro le mura delle nostre rispettive sedi, al fine di recuperare le forze, usufruire dei servizi igienici (dovendo rimanere all'interno dell'edificio, è escluso il fumo in quanto non disponiamo di sala fumatori, però volendo si potrebbe andare sui balconi dei bagni che ne sono provvisti) oppure recarsi al bar/mensa (in cui è vietato consumare generi alimentari portati da fuori, così come è vietato farlo nel resto dell'edificio, anche se ‒ in contraddizione con tali disposizioni ‒ ci sono le macchinette vending).
La pausa si effettua con timbratura in uscita, timbratura in ingresso e successiva richiesta, a sanatoria, del permesso breve, che va autorizzato dal dirigente.
Ogni altro allontanamento dalla postazione di lavoro è ammesso solo per motivi lavorativi e, perlomeno sul piano teorico, soggetto a notificazione verbale al dirigente o a personale da questi indicato (la maggior parte di noi ha il dirigente in prossimità della propria postazione, essendo un ente con molti dirigenti).

A voi tutto ciò sembra legittimo? A me sembra, oltre che inverosimilmente folle (on ricordo di niente del genere né presso un altro ente pubblico presso cui ho prestato servizio né presso i miei precedenti datori di lavoro privati, e francamente neanche nei libri di Kafka), che la questione della mensa vìoli il principio di non discriminazione tra i lavoratori, mentre l'istituto della pausa breve costituisca un chiaro tentativo di elusione del d.lgs. 81/2008 (sostituente il 626/1994) in tema di pause da videoterminale, che sono previste in 15 minuti ogni 2 ore e dovrebbero essere retribuite e che l'amministrazione di fatto non consente di effettuare.
Oltretutto ci sono persone affette da patologie tali per cui debbono urinare più volte al giorno e magari anche mangiare qualcosa, senza che questo pregiudichi il livello, la qualità, l'efficienza e l'efficacia delle loro prestazioni.
Le scelte dell'ente appaiono per molti versi come discutibili, in particolare per ciò che riguarda i dipendenti che svolgono la loro attività in modo continuo dinanzi ad un computer: essi hanno diritto ad essere adibiti per 15 minuti ogni 2 ore ad altra attività e questa non può essere compresa tra le pause. Invece che coloro che lavorano per più di 6 ore al giorno, debbano fare una sosta di 30 minuti è previsto dalla normativa contrattuale e nulla impedisce che tale pausa sia di 15 minuti per due occasioni.
Sulla regolamentazione dei buoni pasto e della mensa non trovo ragioni specifiche di illegittimità.
Arturo Bianco
bianco_arturo ha Scritto:

Invece che coloro che lavorano per più di 6 ore al giorno, debbano fare una sosta di 30 minuti è previsto dalla normativa contrattuale e nulla impedisce che tale pausa sia di 15 minuti per due occasioni.

Non ho detto questo, ma tutt'altro. L'istituto della pausa breve è ulteriore e aggiuntivo rispetto a quello della pausa pranzo. Praticamente, interpretando alla lettera la circolare, ogni qualvolta ci allontaniamo dalla nostra postazione abituale di lavoro dobbiamo chiedere il permesso verbalmente al dirigente e, qualora la pausa sia finalizzata a ristoro, utilizzo dei servizi igienici o qualsiasi altra motivazione non lavorativa, assume la denominazione di «pausa di recupero psicofisico» e va segnalata timbrando il cartellino in uscita e poi timbrandolo in ingresso, nonché regolarizzata a posteriori mediante l'istituto della pausa breve, che dev'essere autorizzata a sanatoria dal dirigente. Il summenzionato istituto decurta 15 minuti di stipendio ed è fruibile per 15 minuti (fissi, nel senso che se ne fai di meno ne perdi sempre 15) diluiti in un massimo di due momenti; tra una pausa e l'altra deve esserci almeno un'ora di lavoro, altrimenti si perde anche quella.
La pausa mensa è invece obbligatoria nel senso che se non la fai il servizio prestato oltre la sesta ora non ti viene riconosciuto; se però dopo aver fatto la pausa mensa lavori per meno di un'ora (tenendo presente che la pausa mensa è calcolata come 30 minuti minimo anche se ne hai fatti meno), perdi sia la pausa sia tutto il servizio prestato oltre la sesta ora.

Riporta:
Sulla regolamentazione dei buoni pasto e della mensa non trovo ragioni specifiche di illegittimità.


Dunque è legittimo che per il solo fatto di lavorare in una sede (il che è puramente casuale) io percepisco sino a 140 euro in più tra stipendio e tickets rispetto a chi lavora in un'altra sede a parità di tutte le altre variabili? Ricordo che la mensa non è gratuita per il dipendente e che di fatto questi ha l'obbligo di fruirne, altrimenti il pasto non gli viene pagato.
Ribadisco quanto già evidenziato. Il vincolo contrattuale nazionale è di garantire una pausa di almeno 30 minuti nelle giornate in cui l'orario di lavoro supera le 6 ore. Altri vincoli ulteriori sono dettati dalla regolamentazione autonoma dell'ente, che può apparire assai rigida, ma sulla quale non vi sono a mio avviso motivi di illegittimità.
Ricordo che i buoni pasto non sono un diritto dei dipendenti, ma che come principio di carattere generale si devono evitare condizioni di sperequazione ingiustificata. Tale non è la differenza tra mensa e buono pasto in presenza di una stessa condizione per i dipendenti.
Arturo Bianco
bianco_arturo ha Scritto:

Ricordo che i buoni pasto non sono un diritto dei dipendenti, ma che come principio di carattere generale si devono evitare condizioni di sperequazione ingiustificata. Tale non è la differenza tra mensa e buono pasto in presenza di una stessa condizione per i dipendenti.

Evidentemente non sono stato chiaro: la sperequazione sussiste, visto che da un lato ci sono dei lavoratori obbligati a usare la mensa con il 33% della spesa a proprio carico, decurtata dallo stipendio, mentre dall'altro ci sono lavoratori che percepiscono l'intero stipendio e in più i buoni pasto. Chi per caso, puramente fortuito (visto che la mobilità interna è pressoché impossibile), si ritrova a lavorare in una sede provvista di mensa guadagna di meno, poiché se fruisce della mensa deve pagarne il 33%, che viene trattenuto sul cedolino (al di là delle regole sugli orari piuttosto complicate e bizzarre, tali per cui se ci si sbaglia pochi secondi ci si ritrova recuperato anche a un anno di distanza il restante 66%, ma questo è un altro discorso); se invece lavora in una sede non provvista di mensa, riceve sempre lo stesso stipendio e oltre a questo percepisce i buoni sostitutivi.
Ma i lavoratori più svantaggiati sono quelli che lavorano in una sede situata entro i 300 metri da una sede provvista di mensa, poiché secondo il regolamento sono obbligati a recarsi per la pausa pranzo presso la sede che ne è provvista ma il tempo di viaggio tra le due sedi non è retribuito. Al riguardo specifico che è notizia proprio di questi giorni la reintegrazione di un dipendente che era stato, secondo il giudice del lavoro, illegittimente licenziato poiché il trasferimento tra sedi deve essere computato nell'orario di lavoro e la fruizione della mensa interna non può essere considerata assenza dal servizio.

Per quanto concerne l'obbligo di effettaure timbratura in uscita per pause brevi, non retribuite, finalizzate al «recupero psicofisico» (e cioè andare in bagno, prendere un caffè o fare uno spuntino), c'è ampia giurisprudenza che le dichiara illegittime (oltretutto vengono decurtati dallo stipendio 15 minuti anche se la pausa dura un solo minuto, con possibilità di recuperare il tempo restante una sola volta e con condizioni capestro), per non parlare del fatto che non viene consentito di effettuare la pausa da videoterminale, che è prevista dalla normativa sulla sicurezza.
Trovo discutibili le scelte dell'ente in termini quanto meno di merito
Arturo Bianco
Sono d'accordo, ma il fatto che siano moralmente discutibili è poco oggettivamente. Vorrei capire se sono illegittime e non riesco a trovare riferimenti normativi. Non ci sono dei precdenti giurisprudenziali nel pubblico purtroppo (nel privato sì... e sono favorevoli al mio punto di vista).
A mio avviso le scelte dell'ente sono discutibili ma non illegittime nella loro radice in quanto trattasi di materia rimessa alla autonomia dell'ente ed occorre analizzare in modo preciso le motivazioni poste a base della scelta.
Arturo Bianco
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