16-01-2020, 15:43
Salve a tutti.
Nel mio ente abbiamo un trattamento della pausa pranzo diverso a seconda della sede di lavoro:
1. se si lavora in una sede provvista di mensa, non si percepisce un buono pasto ma un rimborso del 66% di quanto speso presso la mensa in pausa pranzo entro il limite a carico dell'Amministrazione di 4 euro e qualcosa. Se non si usufruisce della mensa, non si ha diritto al rimborso. Se non si effettua la timbratura in uscita, rimanendo in pausa anche un solo minuto (ma viene comunque decurtata mezz'ora), il lavoro eccedente la sesta ora non viene retribuito. Dopo la pausa (o dopo 30 minuti dalla timbratura in uscita, pari al periodo non retribuito, se la pausa dura meno), bisogna rimanere in servizio almeno un'ora perché sia riconosciuto il lavoro pomeridiano. Se la mensa è chiusa per qualsiasi motivo e l'Amministrazione ne è a conoscenza, viene fornito un buono pasto. Se il dipendente non ritira il buono nella stessa giornata, lo perde. Quando si effettua servizio al di fuori della propria sede ordinaria di lavoro ma non in regime di missione, non si ha diritto al ticket ma si è tenuti a recarsi presso una sede provvista di mensa per usufruire del pasto, a meno che la trasferta non sia prevista sia al mattino sia al pomeriggio presso sede/i distante/i oltre 300 metri dalla mensa più vicina. Se raggiungendo la mensa la si trova chiusa (classico se si usano i mezzi pubblici), si perde la pausa, si rimane digiuni e non si ha diritto al ticket.
Per il personale a tempo indeterminato e non in posizione di comando, il rimborso funziona in questo modo: il dipendente non anticipa niente ma la quota del pasto a suo carico, pari al 33% di quanto pagato al gestore, viene addebitata sullo stipendio.
2. se si lavora in una sede situata entro 300 metri dalla mensa, bisogna raggiungere la mensa più vicina. Il viaggio tra una sede e l'altra non è computato come orario di lavoro, dunque si perde. Per tutto il resto valgono le regole di cui sopra.
3. se si lavora in una sede non dotata di mensa, si percepisce un buono pasto da 5 euro. Tale buono pasto è corrisposto in forma sciolta, e non in blocco, anche ai dipendenti delle sedi di cui ai punti precedenti nelle ipotesi eccezionali di chiusura programmata; i buoni non ritirati in giornata, tuttavia, si perdono.
In tutti i casi, se non si è effettuata una pausa di almeno mezz'ora e non si sono superate le 6 ore lavorative di cui almeno 30 minuti dopo la pausa, non si ha diritto al rimborso del pasto e pertanto l'eventuale contributo mensa viene addebitato per intero e il ticket viene recuperato mediante compensazione o, ove non possibile, addebito.
Da quanto sopra emergono tre profili di discriminazione a carico dei lavoratori a seconda della sede di servizio:
- i lavoratori di cui ai punti 1 e 2, oltre a non percepire circa 100 euro al mese di buoni pasto, subiscono una decurtazione stipendiale che può variare a seconda di quello che si mangia, per 23 giorni lavorativi, da un minimo di oltre 16 euro a un massimo di circa 40 euro. In altre parole, fatto x lo stipendio, i lavoratori di cui al punto 1 e al punto 2 percepiscono -40, mentre tutti gli altri +100, il che significa che la differenza a favore di questi ultimi è di +140.
- i lavoratori di cui al punto 2 e, in caso di trasferte, quelli di cui al punto 1 sono costretti a fare pause più lunghe rischiando peraltro di trovare la mensa chiusa;
- mentre i lavoratori di cui al punto 3 decidono liberamente come spendere i propri tickets, anche cumulandoli, i lavoratori di cui ai punti 1 e 2 nelle ipotesi di chiusura della mensa o ritirano il buono pasto in giornata o perdono il diritto al pasto.
Inoltre da un paio d'anni la Direzione generale, per mostrarsi forte contro i cosiddetti furbetti del cartellino, ha adottato unilateralmente (cioè senza concertazione con i sindacati, ai quali il provvedimento è stato solo notificato contemporaneamente all'entrata in vigore) un nuovo disciplinare orario, che si applica anche al personale con qualifica dirigenziale ad eccezione del direttore generale, che stabilisce che possiamo fare un massimo di due pause non retribuite per «ristoro psicofisico» al giorno, per un massimo di 15 minuti totali, che non valgono come orario di lavoro, rimanendo entro le mura delle nostre rispettive sedi, al fine di recuperare le forze, usufruire dei servizi igienici (dovendo rimanere all'interno dell'edificio, è escluso il fumo in quanto non disponiamo di sala fumatori, però volendo si potrebbe andare sui balconi dei bagni che ne sono provvisti) oppure recarsi al bar/mensa (in cui è vietato consumare generi alimentari portati da fuori, così come è vietato farlo nel resto dell'edificio, anche se ‒ in contraddizione con tali disposizioni ‒ ci sono le macchinette vending).
La pausa si effettua con timbratura in uscita, timbratura in ingresso e successiva richiesta, a sanatoria, del permesso breve, che va autorizzato dal dirigente.
Ogni altro allontanamento dalla postazione di lavoro è ammesso solo per motivi lavorativi e, perlomeno sul piano teorico, soggetto a notificazione verbale al dirigente o a personale da questi indicato (la maggior parte di noi ha il dirigente in prossimità della propria postazione, essendo un ente con molti dirigenti).
A voi tutto ciò sembra legittimo? A me sembra, oltre che inverosimilmente folle (on ricordo di niente del genere né presso un altro ente pubblico presso cui ho prestato servizio né presso i miei precedenti datori di lavoro privati, e francamente neanche nei libri di Kafka), che la questione della mensa vìoli il principio di non discriminazione tra i lavoratori, mentre l'istituto della pausa breve costituisca un chiaro tentativo di elusione del d.lgs. 81/2008 (sostituente il 626/1994) in tema di pause da videoterminale, che sono previste in 15 minuti ogni 2 ore e dovrebbero essere retribuite e che l'amministrazione di fatto non consente di effettuare.
Oltretutto ci sono persone affette da patologie tali per cui debbono urinare più volte al giorno e magari anche mangiare qualcosa, senza che questo pregiudichi il livello, la qualità, l'efficienza e l'efficacia delle loro prestazioni.
Nel mio ente abbiamo un trattamento della pausa pranzo diverso a seconda della sede di lavoro:
1. se si lavora in una sede provvista di mensa, non si percepisce un buono pasto ma un rimborso del 66% di quanto speso presso la mensa in pausa pranzo entro il limite a carico dell'Amministrazione di 4 euro e qualcosa. Se non si usufruisce della mensa, non si ha diritto al rimborso. Se non si effettua la timbratura in uscita, rimanendo in pausa anche un solo minuto (ma viene comunque decurtata mezz'ora), il lavoro eccedente la sesta ora non viene retribuito. Dopo la pausa (o dopo 30 minuti dalla timbratura in uscita, pari al periodo non retribuito, se la pausa dura meno), bisogna rimanere in servizio almeno un'ora perché sia riconosciuto il lavoro pomeridiano. Se la mensa è chiusa per qualsiasi motivo e l'Amministrazione ne è a conoscenza, viene fornito un buono pasto. Se il dipendente non ritira il buono nella stessa giornata, lo perde. Quando si effettua servizio al di fuori della propria sede ordinaria di lavoro ma non in regime di missione, non si ha diritto al ticket ma si è tenuti a recarsi presso una sede provvista di mensa per usufruire del pasto, a meno che la trasferta non sia prevista sia al mattino sia al pomeriggio presso sede/i distante/i oltre 300 metri dalla mensa più vicina. Se raggiungendo la mensa la si trova chiusa (classico se si usano i mezzi pubblici), si perde la pausa, si rimane digiuni e non si ha diritto al ticket.
Per il personale a tempo indeterminato e non in posizione di comando, il rimborso funziona in questo modo: il dipendente non anticipa niente ma la quota del pasto a suo carico, pari al 33% di quanto pagato al gestore, viene addebitata sullo stipendio.
2. se si lavora in una sede situata entro 300 metri dalla mensa, bisogna raggiungere la mensa più vicina. Il viaggio tra una sede e l'altra non è computato come orario di lavoro, dunque si perde. Per tutto il resto valgono le regole di cui sopra.
3. se si lavora in una sede non dotata di mensa, si percepisce un buono pasto da 5 euro. Tale buono pasto è corrisposto in forma sciolta, e non in blocco, anche ai dipendenti delle sedi di cui ai punti precedenti nelle ipotesi eccezionali di chiusura programmata; i buoni non ritirati in giornata, tuttavia, si perdono.
In tutti i casi, se non si è effettuata una pausa di almeno mezz'ora e non si sono superate le 6 ore lavorative di cui almeno 30 minuti dopo la pausa, non si ha diritto al rimborso del pasto e pertanto l'eventuale contributo mensa viene addebitato per intero e il ticket viene recuperato mediante compensazione o, ove non possibile, addebito.
Da quanto sopra emergono tre profili di discriminazione a carico dei lavoratori a seconda della sede di servizio:
- i lavoratori di cui ai punti 1 e 2, oltre a non percepire circa 100 euro al mese di buoni pasto, subiscono una decurtazione stipendiale che può variare a seconda di quello che si mangia, per 23 giorni lavorativi, da un minimo di oltre 16 euro a un massimo di circa 40 euro. In altre parole, fatto x lo stipendio, i lavoratori di cui al punto 1 e al punto 2 percepiscono -40, mentre tutti gli altri +100, il che significa che la differenza a favore di questi ultimi è di +140.
- i lavoratori di cui al punto 2 e, in caso di trasferte, quelli di cui al punto 1 sono costretti a fare pause più lunghe rischiando peraltro di trovare la mensa chiusa;
- mentre i lavoratori di cui al punto 3 decidono liberamente come spendere i propri tickets, anche cumulandoli, i lavoratori di cui ai punti 1 e 2 nelle ipotesi di chiusura della mensa o ritirano il buono pasto in giornata o perdono il diritto al pasto.
Inoltre da un paio d'anni la Direzione generale, per mostrarsi forte contro i cosiddetti furbetti del cartellino, ha adottato unilateralmente (cioè senza concertazione con i sindacati, ai quali il provvedimento è stato solo notificato contemporaneamente all'entrata in vigore) un nuovo disciplinare orario, che si applica anche al personale con qualifica dirigenziale ad eccezione del direttore generale, che stabilisce che possiamo fare un massimo di due pause non retribuite per «ristoro psicofisico» al giorno, per un massimo di 15 minuti totali, che non valgono come orario di lavoro, rimanendo entro le mura delle nostre rispettive sedi, al fine di recuperare le forze, usufruire dei servizi igienici (dovendo rimanere all'interno dell'edificio, è escluso il fumo in quanto non disponiamo di sala fumatori, però volendo si potrebbe andare sui balconi dei bagni che ne sono provvisti) oppure recarsi al bar/mensa (in cui è vietato consumare generi alimentari portati da fuori, così come è vietato farlo nel resto dell'edificio, anche se ‒ in contraddizione con tali disposizioni ‒ ci sono le macchinette vending).
La pausa si effettua con timbratura in uscita, timbratura in ingresso e successiva richiesta, a sanatoria, del permesso breve, che va autorizzato dal dirigente.
Ogni altro allontanamento dalla postazione di lavoro è ammesso solo per motivi lavorativi e, perlomeno sul piano teorico, soggetto a notificazione verbale al dirigente o a personale da questi indicato (la maggior parte di noi ha il dirigente in prossimità della propria postazione, essendo un ente con molti dirigenti).
A voi tutto ciò sembra legittimo? A me sembra, oltre che inverosimilmente folle (on ricordo di niente del genere né presso un altro ente pubblico presso cui ho prestato servizio né presso i miei precedenti datori di lavoro privati, e francamente neanche nei libri di Kafka), che la questione della mensa vìoli il principio di non discriminazione tra i lavoratori, mentre l'istituto della pausa breve costituisca un chiaro tentativo di elusione del d.lgs. 81/2008 (sostituente il 626/1994) in tema di pause da videoterminale, che sono previste in 15 minuti ogni 2 ore e dovrebbero essere retribuite e che l'amministrazione di fatto non consente di effettuare.
Oltretutto ci sono persone affette da patologie tali per cui debbono urinare più volte al giorno e magari anche mangiare qualcosa, senza che questo pregiudichi il livello, la qualità, l'efficienza e l'efficacia delle loro prestazioni.